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Presentazioni

Segni di mutazioni

di Luciano Tomagè


Mi rendo conto che la modalità di iterazione segnica adottata da Giovanni Crescimanni in tempere, olii e acquarelli su carta e su tela, può benissimo risultare quale sismografo d'un proprio attinto livello di bioritmo energetico. Persino in chiave d'analogia elettro grafica, direi.

Credo allora che questa sua prima mostra personale giunga opportunamente a rappresentare una tappa recente e significativa del suo personale itinerario di tensione spiritualista.
Mi riferisco all'incontro con la cultura cinese, attraverso tanto l'apprendimento di un'antica disciplina marziale come il Taj Chi, quanto la lettura e la segreta consultazione oracolare, immagino del Yi Ching, il manuale canonico dell' arte divinatoria confuciana e taoista; nonché attraverso la pratica d'uso della carta come mezzo espressIvo.

Esperienza importante dicevamo, e non soltanto epidermicamente suggestiva, perché infine connessa alla radice esistenziale di un sempre più motivato coinvolgimento anche nell'esercizio della pittura; pure già coltivata per oltre vent' anni, ma per lo più nel piccolo formato del diario visivo autobiografico e memoriale.
Dunque innanzi tutto "un segno di mutazione" tale occasione pubblica di confronto per Giovanni, e proprio per meglio cominciare a definirne oggi l'identità. Anche professionalmente parlando, dico in un ruolo certamente complementare a quello stabilmente assunto di ingegnere elettronico, giacché anche nell' arte le generazioni contano da quando l'impegno di lavoro diviene consapevolezza di un proprio modo di manifestarsi, altrimenti irriducibile.

Di fatto, la recente e più attuale ricerca non figurati va di Crescimanni, dall'iterazione segnica a certe ultime cadenze gestuali più mosse, mi pare abbia superato con matura coerenza di svolgimento la lunga fase di latenza sintomatica, di testimonianza contingente e rapsodica. Tanto da perseguire seriamente oggi un valore d'immagine rispondente ad una precisa dimensione di pensiero: quella spirituale dello stato meditativo. Un pronunciamento iconico di riscontro psichico, chiaramente.

Lo sforzo di Giovanni è esattamente questo: di cogliere una evidenza, una qualità dell'immagine che valga per la sua origine "metafisica", pur offrendosi evidentemente, come tale, in fisica consistenza di manufatto. Ma s'intende appunto quel valore come una sorta di portato spirituale del processo meditativo, nel momento di equilibrio fra opposte polarità energetiche vitali (Yin e Yang, secondo il pensiero cinese antico).
Certo, un traguardo ogni volta da raggiungere nella concreta oggettivazione della proposizione visiva, nei termini cioè di una raggiunta autonomia semiologica del costrutto linguistico, referente di tale dimensione di pensiero. Ecco comunque, insomma, il contributo di conoscenza che Giovanni affida alla sua ricerca, tutta introspettiva, "del giusto e del perfetto", come lui stesso la chiama.
In questo individuato orizzonte di motivazioni, quel suo caratteristico modo d'iterazione segnica a fasce orizzontali e di sensibilizzazione corsiva del tracciato, riesce ad esibire una sua interna vicenda fatta di situazioni che progressivamente ne definiscono l'intenzionalità d'uso in termini sensitivo - espressivi d' energia dinamica. Così da poterlo fenomenologicamente assimilare ad una sorta di massaggio operato sull' aura della pagina, appena sopra la superficie della carta o della tela. Sul "corpo sottile" del supporto materiale.

Intendo quasi a voler sollecitare la manifestazione di uno spazio pieno e vibrante attraverso la traccia visibile di quel massaggio, fatto a distanza planare con il taglio del pennello. La traccia di un movimento progressivo esteso a tutto il braccio e articolato in brevissimi intervalli ritmici di calibrata pressione del polso. Come una danza leggera della mano intrinseca musicalità iterativa, che difatti invita ad una partecipazione simpatetica dello spettatore, in una prospettiva appunto di integrazione energetica.

Perciò, più ancora che in senso ottico d'accentuazione percettiva, la tessitura spaziale di Crescimanni si offre, nel suo tenue cromatismo (talora univoco), come filtro mentale di uno sguardo interiore. Dapprima indubbiamente evocativo, con un lievito di memoria di luoghi introiettati (Pieve di Pava, Monterongriffoli), con il sedimento lirico effusivo di luminose fluttuazioni celesti o altrimenti di umbratile pulsante densità atmosferica (Ottenebramento della luce, Ching, Dopo il deterioramento). Mentre si fa più psichicamente esplorativo nei "segni di mutazioni" del '94, che avvicinano la scrittura di Crescimanni al diagramma processuale di una pulsione energetica connessa immaginativamente ad una consonanza cosmica della propria interiorità.
Del resto, in tale unità di composto segnico - strutturale, il colore, quand' anche ancora attinga una sua propria misura di "pittorica" liricità (in morbidissime sfumature di ristretta gamma cromatica, polarizzata su ocraterre e blu), non sembra più neanche estraneo alla comune condizione di materia. Almeno negli esiti recenti più "grafici" di dominante monocromatica; o altrimenti come traccia gestuale di sperimentazione corrente.

Ma almeno un paio di considerazioni conclusive possono ulteriormente aiutarci a collocare il lavoro di Crescimanni nella frantumata e caotica scena artistica attuale.
La prima riguarda la constatazione di una sua avvertibile ascendenza "informale" come modo di linguaggio, l'altra attiene la compo-nente di un suo eventuale aspetto "decorativo". Ebbene, quest'ultimo appellativo risulta essere sterilmente polemico e capzioso se rivolto ad una pittura che deliberatamente assume, come nel nostro caso, una campitura segnica di superficie quale proprio campo espressivo. O meglio, rischia davvero di essere un falso problema se, in altre parole, l'assunto di partenza ne costituisce la totalità d'intenzione semantica. E non invece un'ag-giunta ornamentale alla struttura dell'immagine.

D'altra parte, una lettura in senso semplicemente neo informale di questo lavoro risulterebbe anacronistica, essendo l'iterazione segnica di Crescimanni fondata pragmaticamente su una scelta tipologica di un modo linguistico ormai sempre possibile, su una categoria di linguaggio disponibile oggi (funzionalmente e in misura congeniale), ma senza più nessi diretti con le complesse e diramate implicazioni storiche e poetiche dell'informale. E Crescimanni non sembra ignorare che quella lontana esperienza può offrire ancora strumenti efficaci ad una via d'ascolto interiore.

Luciano Tomagè, “Presentazione in catalogo mostra personale ”, Galleria L’Eclissi Roma 1995.